Non è il mio mestiere

Oggi sei nello stato di Ultimo Quarto, ciò significa che dalla nostra silenziosa e roteante palla di roccia potrò ammirarti solo per metà. La tua metà sinistra, per essere precisi. L’altra palla, quella ardente ed accecante, forma esattamente un’inclinazione di 90° nell’angolazione tra me e te, mia piccola Luna. Voglio raccontarti una storia che mi ricorda noi. Mi ricorda te. Mi ricorda me, con te.

Firenze, 1501.

Al nostro nuovo amico Michelangelo Buonarroti viene commissionata un’opera tanto straordinaria quanto complessa. Il David. Non era la prima volta che i Consoli dell’Arte della Lana provarono a realizzare quest’impresa mastodontica, due dei migliori scultori di Firenze infatti, abbandonarono il progetto. Michelangelo vide quella lastra di marmo, era proprio come te, bellissima, imponente, di un bianco puro, che mi ricorda tanto la tua metà visibile, colpita dai raggi della nostra stella. I due scultori prima di lui, invece, non erano affatto della stessa opinione: buchi, fessure, fori e spaccature lo rendevano inutilizzabile. Nonostante i difetti della pietra, nonostante il pessimo lavoro cominciato dagli scultori sullo stesso blocco, da quel disastro Michelangelo tirò fuori un David di una folgorante bellezza, tanto che venne definito come “ideale perfetto di bellezza virile”.

Ma dai… Ma veramente? Virile quello? Chiedi pure a qualsiasi esperto di arti marziali, ti dirà che la posa del David è pessima, scoordinata, un’ottima posizione se si vuole essere vulnerabili, fragili, nonostante il bel fisico.

Come può quel David essere “il perfetto”, “l’ideale”?

Ebbene, lo è.

L’essere umano è debole, imperfetto, nato da solchi e spaccature. Ma per me, e per il nostro amico, la sua bellezza è proprio la luce che risplende dentro tanta fragilità.

Finì l’opera nel 1504, e fu subito convocato dal Papa in persona per occuparsi di una richiesta folle, sua Santità chiese di progettare la sua stessa tomba. Michelangelo era carichissimo, infuocato come il sole, ardente di gioia, tanto che fece portare non una, non due, non tre… ma quaranta lastre di marmo, alcune grosse quanto quella del David. Pensa che disse addirittura al Pontefice di voler scolpire un’intera montagna… Da solo!

Immagina ora tutta questa euforia, questa felicità palpabile ed un sogno, tanto ambizioso quanto infantile, morire in pochi secondi. Sì. Proprio il papa, pochi giorni dopo gli disse: “Ferma tutto, non si fa più niente”.

Era stato un altro grande artista, Donato Bramante, a convincerlo che questa era un’impresa folle, che sarebbe terminata in un nulla di fatto. Neanche da dire, Michelangelo litigò col Papa, e se ne andò da Roma.

Passarono due anni interminabili. Il nostro vecchio ricevette una lettera. Dal Papa. Aveva bisogno di un pittore. Ma come, un pittore? Michelangelo odiava dipingere, lui era uno scultore, non si sarebbe mai abbassato al livello di quella gentaglia col pennellino. Penso che potrai capire come si sentiva, tu faresti mai un progetto di Design del Prodotto Industriale? Ovvio che no.

La richiesta era tanto semplice quanto complessa. Dipingere la volta della Cappella Sistina. Michelangelo provò a rifiutarsi in tutti i modi, provò a convincerlo che Raffaello era il candidato migliore per farlo, ma il Papa fu inamovibile, glie lo aveva suggerito Donato Bramante. L’infame di prima torna dunque in scena, torna con un’altra infamata. Odiava talmente tanto Michelangelo che voleva vederlo abbandonare il lavoro spontaneamente, voleva vederlo arrendersi, buttarsi giù. Michelangelo, mentre cercava di rifiutarsi e trovare soluzioni alternative, disperato, scrisse una lettera al padre, dice: “Non è il mio mestiere, non è la mia professione, sto perdendo tempo.”

Passa qualche giorno.

Non si sa bene cosa accadde in lui, ma qualcosa si illuminò, scattò, divampò nel suo cuore. Goethe disse che “non è possibile avere idea di cosa la volontà di un singolo uomo può ottenere, se prima non si è ammirata la Cappella Sistina”.

Michelangelo fu un grandissimo scultore, ma fu ancor più grande come pittore, proprio perché dipingeva come uno scultore. Ha dipinto come nessun altro prima di lui. Un vero genio nella realizzazione dei corpi e dell’anatomia, che solo il suo occhio poteva riprodurre. Immensamente unico, perché col pennello era un pesce fuor d’acqua, uno scultore fuor marmo.

Hai presente i disegni su quella volta? Un giorno ti porterò a vederli con me. Assurdo. Com’era cominciato tutto? “Non è il mio mestiere”. Mi ricorda qualcosa, mi ricorda qualcuno che disse: “Non sono bravo con le relazioni”, “Non è il mio mestiere”, eppure quando guardo indietro, quando guardo a noi, vedo un capolavoro.

Buon compleanno, piccola Luna.